Social media: nuove responsabilità legali, morali e politiche5' tempo di lettura

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Nel complesso scenario attuale, i social media hanno acquisito responsabilità importanti per la diffusione di un’informazione imparziale. Diventa così fondamentale comprendere come la giurisprudenza regolamenti questi colossi digitali e quanto una comunicazione viziata da parte loro possa avere effetti negativi anche a livello sociale e politico.

Chi si informa digitalmente come lo fa?

In un rapporto del 2017, Agcom sottolinea come il 36,5% della popolazione italiana utilizzi Facebook, Twitter, Instagram e simili, per accedere alle notizie online. Soltanto il 15,4% fa invece riferimento a siti web e applicazioni di quotidiani nazionali.

La prevalenza della frequenza di accesso alle prime fonti, definite algoritmiche, rispetto a quelle editoriali è poi rafforzata dall’importanza che gli viene attribuita. Considerando, infatti, la totalità dei mezzi di comunicazione, il 6,9% ritiene i social come la fonte informativa più importante e solo il 4,9% conferisce tale primato ai giornali online.

Gli utenti quindi, pur riconoscendo la minore affidabilità informativa dei social media (18,7% contro 30,4%), basano comunque su di essi le proprie conoscenze. L’ingresso di fonti estranee nel circuito di informazione classico alimenta così la diffusione di false notizie, che carica i social media di nuove responsabilità.

social media responsabilità

Fonte: accesso all’informazione attraverso fonti algoritmiche ed editoriali (Agcom 2017; % popolazione)

Responsabilità giuridica: come si comporta la legge italiana?

Per rispondere a questo interrogativo si può seguire la via tracciata dalla direttiva europea sul commercio elettronico (n. 2000/31/CE), attuata in Italia nel 2003. Essa prevede tre categorie di intermediari digitali: i prestatori di servizi di trasporto, quelli di memorizzazione temporanea e infine coloro che, come i social media, memorizzano per più tempo le informazioni fornite da parte degli utenti.

Per tutte e tre le classi, il presupposto che garantisce l’irresponsabilità sul piano legale è il mantenimento di una posizione neutrale rispetto ai contenuti caricati online. Proprio a questo livello si inserisce perciò il discorso legato alle grandi compagnie digitali. Esse, infatti, oltre a raccogliere dati in modo passivo, traggono profitto da queste attività definite “di hosting” e intervengono tramite algoritmi nell’organizzazione dei contenuti. Nonostante ciò, sono però considerate neutrali e sono quindi esenti da responsabilità per i contenuti illeciti che gli utenti producono o diffondono attraverso Internet.

Soltanto negli ultimi anni la giurisprudenza europea è intervenuta nei confronti di questi provider, escludendoli però da obblighi di sorveglianza generale, per motivi logistici ed economici.

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Responsabilità informativa e morale: la situazione pandemica

Nell’ultimo biennio, l’emergenza Covid-19, ha stravolto le abitudini e la quotidianità di molte persone. Il tempo speso online è così aumentato, come anche i contenuti prodotti dagli utenti e il pericolo di accedere ad informazioni false o compromesse.

La disinformazione è però un concetto complesso, che racchiude in sé diverse sfumature. Ad esempio, è possibile distinguere tra i concetti di “malinformazione” e “misinformazione”. Nel secondo caso, si diffondono informazioni false non con l’intento reale di disinformare ma solo perché si crede di essere in possesso della verità.

È quindi evidente come i cosiddetti USG (user-generated content), si inseriscano a questo livello più che a quello generico di disinformazione. Secondo una ricerca a campione del Reuters Institute for the Study of Journalism, i social media sono infatti la fonte dell’88% della misinformazione circolante. Eppure, un’altra indagine effettuata da Edelman nel 2020 in dieci nazioni ha rivelato come soltanto il 48% abbia avuto fiducia nei propri governi come fonte di informazione sul virus.

Le big companies digitali hanno provato a frenare lo tsunami di disinformazione su Covid e vaccini, rendendo più puntuali i controlli e aggiornando la lista dei contenuti “proibiti”. Tuttavia, anche la situazione pandemica ha evidenziato le responsabilità a cui i social media sono chiamati per il mantenimento di un’informazione sana e corretta.

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Responsabilità politica: la guerra in Ucraina

A detta di molti, il conflitto russo-ucraino rappresenta per le grandi aziende digitali una delle ultime possibilità di riconoscere i propri obblighi anche sul piano informativo e decisionale.

Nel corso di febbraio e marzo, i principali media di stato russi hanno utilizzato Facebook e Twitter per condividere articoli e contenuti falsi. Così, nel giro di poco tempo, presunti attacchi ucraini ai separatisti di Donetsk e supposizioni riguardo l’intervento in guerra della NATO con armi chimiche, hanno raccolto quattro milioni di reazioni solo su Facebook. Appena un mese prima, i casi documentati di fake news diffuse dalla Russia e segnalati da EUvsDisinfo, erano tredicimila e cinquemila riguardavano l’Ucraina.

L’importanza politica delle big tech è stata immediatamente riconosciuta anche dal vicepremier ucraino Mykhailo Fodorov. In una recente intervista, il giovane politico kievita ha sottolineato proprio come “Le tecnologie della comunicazione digitale sono la migliore risposta agli attacchi con carri armati e missili”.

Tuttavia, ancora una volta, i social media sembrano essersi mossi in ritardo, incuranti del proprio peso mediatico e delle conseguenze delle proprie azioni.

Responsabilità individuali

In una situazione in continua evoluzione anche sul piano giuridico, tutto ciò che ci resta è la consapevolezza. La disinformazione esiste ed è una piaga concreta. I social media rappresentano quindi una grandissima opportunità, ma al tempo stesso non sono esenti da responsabilità.

Essi mediano infatti attivamente i contenuti di cui usufruiamo ogni giorno ma spetta comunque a noi l’ultima parola: il compito di diffondere un’informazione quanto più neutrale e veritiera possibile.

Matteo Guarisco – Area Comunicazione & Organizzazione eventi

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